Visualizzazioni totali

lunedì 25 dicembre 2006

Babbo di M*****a

E' una giornata bellissima, stamattina mentre tornavo a casa dal lavoro c'era il cielo blu che si colorava di rosa all'orizzonte, si vedevano ancora le stelle. Non mi importava del Natale, per quanto mi riguarda oggi è una domenica bonus, questa festa ha perso di significato tempo fa per me. Però stamattina ho provato un profondo senso di soddisfazione, mi sentivo pieno di qualcosa che non so dire cos'è. Le strade erano deserte, mi sembrava che il mondo fosse lì solo per me, tutto mio. Dopo tanto tempo ho sentito ancora quel senso di amore per tutto ciò che ho e sono. Non mi importava più di nulla. Mi sono detto che avrei voluto che il tempo si fermasse, ma questi sono quei tipi di desideri irrealizzabili, si deve tornare alla realtà e affrontarla.
Ho anche sorriso quando passando davanti ad un autolavaggio ho beccato un tizio che lavava la sua auto...ma chi cazzo va il giorno di Natale a lavare l'auto?! Visto che è in vena perchè non viene a fare le pulizie a casa mia?! Si veste da Babbo di Minchia e pulisce bagno, cucina e camera.
Sento tanta dolcezza dentro e nell'aria cerco un po' di quella felicità di quando da bambino mi svegliavo e mi sorprendevo di trovare sempre i regali sotto l'albero, e mi sentivo un po' preso in giro perchè non mi ero accorto dell'arrivo di Babbo Natale.  E di quando si andava a pranzo dai parenti e zia mi dava il suo regalo sempre più grande e bello di quanto io avessi chiesto, ricordo ancora quel senso di sopresa che solo da bambini si prova e mai più. E quando abbracciavo stretto stretto mia nonna che tirava fuori i soldini dalle mutande per non farsi beccare da mio nonno. Mi mancano. Ricordo e penso che è passato, un po' mi intristisco, ma penso al cielo di questa mattina e al senso di pienezza che ho provato. 

sabato 23 dicembre 2006

È già maggio

Perdo il mio senno, afferro il senso
e se un po' di amore c'è dentro quello che io sono
lo darei soltanto a te

perchè ogni sorriso che dono a te
nasce da un mio bisogno di dirti che io ci sarò
anche se non sarò qui..ma

io vivrò...
nell'odore della terra quando la pioggia cadrà
e dentro i giorni che poi tu non ricorderai mai più 
nei paesaggi che vedrai durante un viaggio
quando vedrai un fiore e ti accorgerai che già è maggio

Osserva il cielo farsi più blu
e la luna e le stelle brilleranno dentro di te
vedrai che io sarò lassù

e vivrò...
nell'odore della terra quando la pioggia cadrà
e dentro i giorni che poi tu non ricorderai mai più 
nei paesaggi che vedrai durante un viaggio
quando vedrai un fiore e ti accorgerai che già è maggio

e se non sarò qui...vivrò...
nel raggio di sole che la mattina ti sveglierà
e dentro il calore che ti regalerà un sogno
e negli inaspettati abbracci quando ne avrai bisogno
quando incontrerai un nuovo sguardo d'amore, io vivrò...

nell'odore della terra quando la pioggia cadrà
e dentro i giorni che poi tu non ricorderai mai più 
nei paesaggi che vedrai durante un viaggio
quando vedrai un fiore e ti accorgerai che già è maggio


A tutti quelli che mi vogliono bene,
anche solo un po'...

sabato 9 dicembre 2006

Vivere

[...] lo scopo ultimo è di liberarsi dalla negatività che in realtà altro non è che la nostra voglia del nulla e una volta che abbiamo detto sì all'istante l'affermazione diventa contagiosa, esplode in una catena di affermazioni che non conosce alcun limite; dire sì ad un unico singolo istante equivale a dire sì all'intera esistenza...
dire sì ad un unico singolo istante equivale a dire sì all'intera esistenza...
dire sì ad un unico singolo istante equivale a dire sì all'intera esistenza...

dire sì ad un unico singolo istante equivale a dire sì all'intera esistenza...
dire sì ad un unico singolo istante equivale a dire sì all'intera esistenza...

dire sì ad un unico singolo istante equivale a dire sì all'intera esistenza...
dire sì ad un unico singolo istante equivale a dire sì all'intera esistenza...
                                                                            (Non so chi)

sabato 25 novembre 2006

Un mondo fatto solo per me


Sento una dolcezza immensa dentro -non saprei come chiamare questa cosa-, come il miele che cola, ed è qualcosa di così profondo che se provo a farlo venire fuori mi viene da piangere. 
Dal mio ritorno da Amsterdam sono molto cambiato, riesco a guardarmi dall’esterno, in un modo più consapevole. Prima mi sfuggivano un sacco di dettagli. Prima parlavo di un mondo tutto mio (che esiste ancora), ma facevo fatica a coglierne i particolari io stesso. Ora so cosa intendevo dire. Dentro me c’è una costante tempesta che spesso mi solleva l’anima, a volte è dolce, è come  essere avvolti da petali e piume, altre volte invece è così violenta, come lampi di luci e suoni. È da questo mio mondo che nasce il mio lato “creativo”, e che si manifesta in uno sguardo idiota o un’espressione “strana”.
Non credo di essere una persona speciale, ognuno ha il suo mondo unico e profondo che si può manifestare in modi diversi. Per me, però, è difficile riuscire a mostrarlo, forse perché mi sento vulnerabile, allora c’è chi si crea una scorza dura e invalicabile per colpa di brutte esperienze, c’è chi invece trae da ogni cosa un qualcosa di positivo, magari ugualmente doloroso, ma decisamente più costruttivo. Così i primi sono quelli che, a prima vista appaiono stronzi, polemici e rompicoglioni; i secondi sono quelli che sembrano sempre con la testa tra le nuvole, impenetrabili, strani e disattenti. Credo di appartenere a questo secondo gruppo. È così che forse nascono le anime belle e le persone complesse di cui parlavo mesi fa.
Sembra quasi che voglia convicere qualcuno di qualcosa. Voglio solo capire e far capire che ognuno è fatto a suo modo, ognuno riflette un mondo interno così personale e profondo che spesso è davvero difficile capirlo (a volte questi questi mondi sono pieni di spazzatura e merda, ma questo è un altro discorso). Qualcuno poi impara a comunicarlo in un modo più immediato, altri hanno bisogno di mezzi come la musica, la scrittura, la danza, la pittura, uno sguardo, un gesto oDiosolosacosa.
Io, per esempio, mi rendo conto di poter sembrare fuori di testa quando mi metto a scrivere di me, i racconti, o canticchio delle cose che mi vengono in mente e magari intanto nella mia testa suona una musica fatta per quelle parole. Sono questi i momenti in cui faccio cose senza senso o in cui rimango assorto. Si tratta di veri bisogni, così mi ritrovo a cercare una pezzetto di carta e una misera matita per scrivere una cosa che ho pronunciato sulle labbra o devo registrare un giro di note per non perderle nel tempo.
Rimango sempre più convinto che gli occhi restano il punto di passaggio verso questi mondi così personali. Sono dei canali tra due dimensioni, buchi neri dei sentimenti e delle passioni. Non mi spiegherei altrimenti il perché mi attraggono così tanto gli occhi altrui e perché io invece tenda a nasconderli ai più.
Come sempre scrivo, scrivo, ma non si capisce niente. Sarà colpa delle piume che mi svolazzano intorno...

venerdì 17 novembre 2006

Solo il sole

Mal di gola devastante, mi sembra di avere ingoiato della sabbia o grattato sull’asfalto con l’ugola, male male male. Umore grigio e piovigginante come il tempo di quest’oggi, triste triste triste. Vaga nausea alternata a momenti di freddo intenso, distrastro disastro disastro. Il tutto si riflette poi sui rapporti sociali, così meglio starmene chiuso in casa per evitare di fare ulteriori danni. Così come i disastri aerei accadono tutti vicini nel tempo così anche quelli personali ti cadono tra capo e collo insieme, non lo dico io, è la teoria del grappolo secondo la quale le cose brutte succedono tutte insieme. Non a caso oggi è venerdì 17. Colpito in pieno. Poteva andare peggio, ma la giornata non è ancora finita, chissà cosa mi riserveranno le prossime ore.
Mi sono reso conto che è un sacco di tempo che non mi chiedo come sto. Come sto? Tutto sommato bene. Ci sono momenti in cui mi sento l’anima chiusa in un sacco, un po’ senza aria, vorrei respirare di più. Poi ci sono altri momenti in cui respiro a pieni polmoni e poi arriva una canzone che con precisione chirurgica e disarmante parla di me, a me, solo me. Mi viene ripetuto che ho tanta forza, forse è vero, eppure a me sembra più che altro di riuscire a trovare sempre nuovi modi per vedere le cose, riesco a sognare ancora, ad aprire nuovi angoli del mio cuore e della mia anima, riesco a trovare nuovi modi per sentire e vedere. Non si tratta di forza, si tratta di trovare nuove risorse dentro di sé. Non sono forte, anzi sono di una fragilità estrema, a volte ho la netta sensazione di potermi disperdere in un milione di piccoli pezzi. Piccolo e fragile, ma con qualcosa che non so, ma che c’è. Ecco perchè forse amo il sole, forse funziono come i pannelli solari e sarà anche per questo che in giorni grigi come questo le cose non girano nel verso giusto. E se sono giù come ora allora guardo il sole e mi sento più sereno, peccato che ora sia sera, mi faccio cullare un po', vorrei che questo rimanesse di me in chi mi vuol bene. Parlo di questo "segreto" di fare tutto come se si vedesse solo il sole. Mi piacerebbe lasciare questo di me a chi amo.

Qualcosa che non c'è -Elisa-


Tutto questo tempo a chiedermi cos'è che non mi lascia in pace
tutti questi anni a chiedermi se vado veramente bene così
come sono, così

così un giorno ho scritto sul quaderno io farò sognare il mondo con la musica
non molto tempo dopo quando mi bastava fare un salto per raggiungere la felicità
e la verità è che

ho aspettato a lungo qualcosa che non c'è
invece di guardare il sole sorgere

questo è sempre stato un modo per fermare il tempo e la velocità
i passi svelti della gente, la disattenzione, le parole dette senza umiltà
senza cuore così
solo per far rumore
                                                
ho aspettato a lungo qualcosa che non c'è
invece di guardare il sole sorgere

e miracolosamente non ho smesso di sognare
e miracolosamente non riesco a non sperare

e se c'è un segreto è fare tutto come se vedessi solo il sole
un segreto è fare tutto come se
fare tutto come se
vedessi solo il sole
vedessi solo il sole
e non qualcosa che non c'è

                                                    (Elisa)

domenica 5 novembre 2006

Strani giorni

Sono giorni che scivolano via e anche se ci sono un mucchio di cose che vanno così così o che non vanno proprio fa niente perchè poi ce ne sono altre, a volte più piccole, che però mi fanno stare bene. E' una serenità relativa, non mi accontento, ma per ora va così. Mi rendo sempre più conto che ci sono sempre meno persone con cui sto bene, è un po' triste forse, ma è così. Inizio ad entrare in quella fase della vita in cui si delineano sempre più i rapporti, si definiscono dei limiti e si rafforzano dei legami, è inevitabile, anche perchè credo che non dipenda poi totalmente da me, sembra un processo naturale, come qualcosa di già scritto, già deciso. E non ci sto male forse proprio per questa naturalezza. Non si tratta nemmeno di vivere alla giornata, è qualcosa di diverso, sembra più un vivere seguendo dei segni, senza costrizioni o sforzi, ma semplicemente così come viene.
Ci sono persone a cui non posso rinunciare, alle quali sento sempre il bisogno di dire "ti voglio bene", col rischio di inflazionare questo sentimento che sento così puro e vero dentro, rendendolo agli occhi degli altri meno sincero -ma alla chi deve capire, capisce-. Come ho scritto tempo fa, vivo di istanti, attimi che passano, ma che a distanza di tempo mi restano dentro e nei quali mi sembra di aver vissuto la vita intera. Vorrei che tutto rimanesse così, immobile e fermo in se stesso, senza mutamenti, senza inganni e illusioni, ma so che non può essere così, così cerco di correre sullo slancio di quello che resta.

Rifletto molto su come io posso apparire agli altri, mi piacerebbe potermi spiegare, potermi raccontare per come sono davvero, ma non c'è un modo davvero efficace per farlo. Solo io so come sono -e a volte nemmeno io- perchè mi sento un essere molto complesso, mi sfuggono tante cose di me, i motivi, le ragioni, i pensieri. Quindi se succede a me figuriamoci agli altri. Così mi ritrovo quia scrivere fiumi di parole pensando di potermi fare capire, ma alla fine anche qui c'è il rischio dei fraintendimento. Macchissenefrega!
Sono proprio giorni strani. Mi sento di più per come sono, riesco quasi a toccarmi dentro, a sentire la mia consistenza, ad avere delle sensazioni tattili di me. E' tutto davvero strano, non brutto, non bello, ma strano. Forse alla fine è così che sono: strano.

venerdì 6 ottobre 2006

L’ultima estate

Come ho già scritto altre volte non amo spiegare il perchè delle cose che pubblico sul blog anche perchè spesso un vero motivo non c'è, a volte è solo un pretesto per dire qualcosa che altrimenti non sarei mai riuscito a dire in altro modo, per questo utilizzo canzoni, poesie o racconti di altri piuttosto che cose partorite da me. Questa volta però devo spiegare.
Il racconto che segue è bellissimo, è triste, dolce, amaro, pesante, ognuno ne darà un giudizio personale. Subito si potrebbe dire che parla di morte, una delle cose di cui la maggior parte degli uomini ha paura, ma non l'ho pubblicato per questo, non è questo il tema che mi ha spinto a pubblicarlo, ma per l'amore di cui è intriso. 
Tutto è nato da una chiacchierata con una persona sull'amore. Si è finiti col chiedersi se esiste l'amore vero, quello che dura per sempre. Il riassunto del mio pensiero è che l'amore vero esista, a volte però per tanti motivi legati alle persone coinvolte, alle circostanze esterne o a un mucchio di altri fattori non è possibile viverlo, goderselo. Si è finiti poi sul personale e mi è stata fatta una domanda precisa: "Ma se pensi a XXXXXX ci passeresti tutta la vita?" (nda: ometto il nome della persona per la legge sulla privacy). Mi sono passate davanti tutta una serie di immagini, una sorta di film a velocità rapidissima e ho risposto di sì. La risposta è stata :"E allora cosa aspetti?!".
Dopo altri avvenimenti ho pensato a questo racconto che dice di un amore vero, intenso, non legato alla compassione e alla pena della situazione, un rapporto in cui l'amore vince, anche se fa male, perchè alla fine si deve amare fino alla fine, indipendetemente da tutto. Non l'ho scelto per la drammaticità, ma per esemplificare quello che provo. Ci sono arrivato ora, forse tardi, forse no, però non posso negarlo, nasconderlo a nessuno, perchè deve essere detto. Forse sono in ritardo e dall'altra parte non è così, non posso dare per scontato che ci siano gli stessi sentimenti.
Vorrei viverlo perchè il sole continua a bruciare. Non posso negare questa possibilità a me e all'altra persona.

L’ultima estate (di Stefano Simonini)
Dopo la calura durata tutto il giorno, la sera si era rapidamente rinfrescata. era ancora chiaro ma in cielo già si intravedeva la luna piena. Era settembre, presto le giornate si sarebbero accorciate e il caldo diminuito. Un altro inverno. La casa era apparecchiata per l’arrivo degli ospiti. Sarebbero stati almeno dieci: un buffet in piedi visto che non c’erano abbastanza sedie per tutti.
Era il compleanno di Diego, il suo trentacinquesimo. Aveva voluto lui la festa, e Pierre era stato subito pronto ad accontentarlo. Non sapeva più cosa fare per lui nell’illusione di poterlo vedere felice ancora una volta. Diego è steso sul divano, gli occhi chiusi come se stesse dormendo. In realtà anche solo aprire gli occhi gli costa ormai una fatica immensa. È ammalato di AIDS da un anno, dopo sette di sieropositività passati senza alcun problema, come se niente fosse mai accaduto. Poi, un giorno all’improvviso, senza segni premonitori, una diarrea devastante lo aveva colpito mentre erano in spiaggia e lui per una settimana intera aveva dato la colpa al cibo e, solo dopo essersi quasi completamente disidratato, aveva lasciato che Pierre lo accompagnasse in ospedale dove avevano scoperto che la diarrea non dipendeva dal cibo ma non era che il primo sintomo, la prima e tanto temuta battaglia con la malattia.
Da quel momento, giorno dopo giorno, le sue condizioni erano peggiorate. Tutte le cure che gli erano state fatte non avevano mai conseguito alcun miglioramento e la fine non aveva fatto altro che avvicinarsi. Diego oggi è irriconoscibile. La lacerazione per Pierre è così grande che ogni volta che incontra i suoi occhi ne distoglie lo sguardo come se stesse morendo anche lui. Accende le candele profumate che ha preparato sul terrazzo dove appaiono la Madonnnina illuminata in alto a destra e sulla sinistra la Torre Velasca: due modi diversi per chiedere favori al cielo.
Si sono incontrati otto anni fa a Lisbona dove Diego passava le vacanze da un ex amante mentre Pierre c’era andato insieme a degli amici. Si erano visti una sera in discoteca e si erano subito piaciuti. Pierre era rimasto colpito da quella faccia non bella ma decisamente e sensualmente maschile, da quel naso grosso, da quelle labbra carnose, e poi le mani grandi e forti che infondevano sicurezza. Diego, al contrario, era rimasto abbagliato dalla regolarità della bellezza di Pierre, una bellezza che negli uomini francesi nasconde sempre un frammento di femminilità. Erano andati via insieme, e insieme avevano finito la vacanza, dieci giorni memorabili che avrebbero cambiato le loro esistenze.
Si sono sentiti sempre più spesso al telefono e dopo soli quattro mesi durante i quali aveva duramente studiato italiano, Pierre si era trasferito a Milano e lui e Diego avevano preso a vivere insieme. E sono ancora lì, insieme, anche questa sera che sta diventando rapidamente fresca. Pierre ha preparato quattro insalate diverse e due quiche e un enorme roast-beef e una zuppa fredda e poi un piatto di salumi e formaggi e del vino bianco e rosso e la frutta e lo champagne e la torta di crema e fragole di bosco.
Pierre ricordava quella vacanza in Messico come un vero incubo. Fin dall’inizio aveva capito che le cose si stavano mettendo male ma la paura che i propri timori fossero confermati aveva fatto sì che stupidamente accettasse le puerili motivazioni di Diego. Avevano passato tutta la settimana ostaggi in una camera d’albergo, l’aria condizionata spenta perché Diego aveva sempre freddo, l’odore insopportabile di merda, le corse in farmacia e comprare litri di sali per contrastare il rischio di disidratazione. La notte non riusciva a prendere sonno e se ne stava seduto per ore a guardare il soffitto e a scacciare i pensieri, controllando il riposo agitato di Diego che passava dal silenzio totale a urla mostruose, figlie dei suoi incubi. Ogni paio d’ore Diego si svegliava tremante e inondato di sudore e Pierre lo aiutava a cambiarsi e lo guardava riaddormentarsi subito, così, fino al mattino che avrebbe aperto un nuovo giorno di apprensione e di paura. Diego adesso dorme steso sul divano, il sorriso disegnato sulle labbra, il sorriso sereno di un ragazzo felice ed è soltanto in quel sorriso che Pierre riconosce il passato.
Le prime ad apparire sono Lisa e Anna che è arrivata quello stesso pomeriggio dalla Grecia per partecipare alla cena di compleanno di Diego. Sono sei mesi che non si vedono e Lisa, che invece vive a Milano, nota immediatamente sul volto dell’amica una profonda onda di sgomento. Chi non lo vede da qualche tempo non riesce a rinascere Diego. Le note di Say my name delle Destiny’s Child riempiono la stanza. È stato Pierre a scegliere questa canzone per Diego perché sa di fargli piacere. E poi arrivano tutti gli altri: arriva Paolo, arrivano Giorgio e Giovanni, arriva Claudia e Flavio e salvatore, poi arriva Pietro e per ultimo Ivan. Da quando le cose sono andate peggiorando, Ivan è quello che sembra averne sofferto di più perché la stessa cosa prima o poi potrebbe succedere anche a lui. Perché Diego sta morendo e non c’è rimedio. Perché per Diego la parola futuro ha perso di senso. Perché per lui vale il passato, valgono i ricordi da stringere forte con la mente per non lasciarli scappare. I ricordi e nient’altro. Nessun progetto.
Tutti si conoscono da tempo perché in qualche modo sono cresciuti insieme, si sono incontrati e scontrati più volte ma non sono tutti amici. Spesso, in passato, alcuni di loro hanno deliberatamente evitato di incontrarsi per manifeste antipatie ma questa notte ci vede per Diego, per lui si fa questo ed altro. Diego sorride vedendoli mangiare e parlare tra di loro. Sono loro la sua vita, la famiglia che faticosamente si è costruito nel corso degli anni.
La risata di Anna, ancora così bella nonostante il passare degli anni, sovrasta le altre voci. La serata procede nel migliore dei modi. Pierre guarda Diego e ricambia il sorriso. Dalla strada non giunge alcun rumore, come se la città fosse deserta. Giorgio, ubriaco, è brillante come sempre: l’alcol gli scaccia lontano le tristezze e lo rende euforico. È seduto vicino a Diego, gli parla nell’orecchio e Diego, tenendogli una mano tra le sue, ride fino alle lacrime. Il suo braccio destro è legato ad una flebo. Da qualche mese non riesce più a mandar giù nulla. Da quando è arrivato, Giorgio non ha smesso di bere, è su di giri, si è già seduto e rialzato dal divano dove Diego è steso una decina di volte, lo ha fatto ridere, nel vecchio e irresistibile numero in cui, davanti a chiunque e in qualunque luogo si trovino, lo chiama –urlando– al femminile; poi, dopo aver attirato l’attenzione di tutti, si scusa e torna al maschile. Un numero perfezionato nel tempo. Ridono tutti. Senza voglia. Ma senza poterne fare a meno.
“Da quand’è che non facciamo più l’amore?” sta pensando Pierre mentre guarda il cielo colmo di stelle e rischiarato dalla luce lunare. Ha messo su un maglione perché comincia a far fresco sul serio. Questi ultimi mesi non sono stati certo facili per lui. Ha dovuto lavorare per due, occuparsi della casa, occuparsi di Diego facendo il possibile per riuscire a rispondere a ogni suo bisogno. Non ci fossero stati Giovanni e Pietro, sempre lì, sempre disponibili a dare una mano, a sostituirsi a lui permettendogli qualche volta di uscire e di smettere di pensare e di tirare il fiato, probabilmente non ce l’avrebbe fatta.
C’era stato anche il confronto con la madre di Diego che quattro mesi prima era arrivata da loro con l’idea di riportarsi Diego a casa. Pierre non ci aveva più visto dalla disperazione e dall’ira. ma come cazzo si permette anche solo di pensarci? Era rimasto allibito, senza parole e, dopo un attimo di silenzio, l’aveva pregata di andarsene. Che cazzo avrebbe detto se la madre di suo marito le avesse chiesto la stessa cosa quando lui stava morendo?
Anche Claudia ha bevuto troppo, cammina storta e si tiene in disparte, si sente troppo triste per conversare, temendo di mettersi a piangere. Diego ha cercato più volte i suoi occhi, ma lei ha sempre distolto lo sguardo. Ricorda un po’ il personaggio della puttana mesta del primo spettacolo in cui avevano recitato quando s’erano conosciuti.
Tutti mangiano e discorrono, è così incoraggiante vederli insieme. “Grazie” pensa Diego “grazie per essere tutti qui con me questa sera”. È sfinito ma si sforza di non darlo a vedere. Li vuole lì, con sé, il più a lungo possibile. La sua famiglia. Sono venute a trovarlo, nel pomeriggio, sua madre e sua sorella ma con loro tutte le volte è uno strazio. Non sanno fingere, non sanno arginare le lacrime e lui sta troppo male, per se stesso e per loro.
Paolo, l’asociale, si è seduto accanto a lui, e gli parla con il solito piacere che accende i suoi occhi quando racconta e  si racconta. Aveva quasi deciso di non venire. Tra gli amici di Diego è quello meno inserito nel gruppo, sempre ostinato a volersene stare per i fatti propri. Ci sono volte che scompare per mesi semplicemente perché non vuole né vedere né parlare con nessuno. All’inizio della loro amicizia Diego aveva detestato questo suo modo di essere. Poi con il passare degli anni aveva imparato a capire e ad accettare.
Pierre sembra stia sorvegliando che tutto proceda per il meglio. È solo una posa. I ricordi si rincorrono nella testa come cani in fuga dal mondo. Fanno male, ogni giorno di più. Si sveglia al mattino ed è già stanco della notte trascorsa, e la sera è stanco del giorno appena passato. Si addormenta tutte le volte che si appoggia a qualcosa che lo possa sorreggere. Claudia gli si avvicina, gli si siede accanto. Si guardano muti e lei gli accarezza una mano, Non vede l’ora che la festa finisca, è estenuata e vuole tornare a casa e dormire, e sognare quando tutto sembrava normale. Il miracolo della morte incombente ha la capacità di rendere straordinari anche gli eventi più banali.
Anna e Lisa stanno chiacchierando con Pietro. Lisa è psicologa e almeno teoricamente dovrebbe essere quella che più facilmente ha imparato a fare i conti con la realtà. Anni fa lei e Diego hanno vissuto insieme in una casa minuscola alla Bovina. La mattina si alzavano insieme e si divertivano come due perfetti idioti a scoreggiare e a inventare una rima per ogni nuova scoreggia, la scoreggina rende profumata la mattina, e giù a ridere, ridere fino a stare male, come se non ci fosse stato niente di più divertente da fare nella vita che scoreggiare e ridere, le lacrime agli occhi e i crampi allo stomaco, di corsa sotto la doccia per non fare tardi in ufficio e alle prove. Mangiamo insieme stasera? Sì e poi andiamo al cinema, ti chiamo dopo, ciaooooo.
È arrivato il momento della torta ed è già notte. Il cielo è chiaro, l’aria quasi ghiaccia. La musica si interrompe, si spengono le luci, le voci si uniscono in un lungo coro stonato, e Pietro emerge dalla cucina con la torta e trentacinque candeline rigide e fiammeggianti, trentacinque candeline che Diego non avrà mai la forza di spegnere. Allora le spegne Giorgio, eccitato dall’alcol e dal bisogno di soffocare il proprio strazio, quello stesso strazio che ha sempre cercato di spingere in fondo, in luoghi da non visitare. Finisce così, con tutti che se ne vanno dopo aver brindato ma a cosa non lo sanno nemmeno loro. Pierre saluta sulla porta, un accenno di desolazione negli occhi e una smorfia impallidita sulle labbra che tremano. Ci sentiamo nei prossimi giorni. Grazie. Buona notte. Ti chiamo domani per sapere se ti serve una mano. OK. Grazie. Ciao.
È rimasto solo Giovanni, seduto accanto a Diego. Sei stanco? Un po’. Adesso andiamo tutti a dormire. Sì, Grazie per questa bellissima serata. Grazie a te, e poi è tutto merito di Pierre, ha fatto tutto lui. Vado, non voglio piangere, non deve vedermi piangere. Gli occhi di Diego invece sono già annegati nelle lacrime. Ti voglio bene, è giusto un bisbiglio. Giovanni figge via, passo domani, abbraccia Pierre e parte.
Sono rimasti soli. Pierre si guarda intorno. hanno cercato tutti di creare meno disordine possibile, non ci sono né piatti né bicchieri sporchi, tutto nella lavastoviglie che solo ora Pierre si accorge che qualcuno ha messo in funzione.
Dal divano Diego lo chiama. Vieni qui vicino a me, e Pierre gli siede accanto, gli solleva la testa e l’appoggia al proprio petto. Diego gli stringe una mano e gli sorride. Grazie per tutto quello che hai fatto. Pierre gli sorride a sua volta e gli sussurra stupido. Poi ridono insieme. Diego gli accarezza teneramente il viso, un tocco quasi invisibile, per mancanza di forze e non di volontà. È molto fiacco e grazie alla stanchezza che ormai gli occupa tutte le ore di tutti i giorni ha imparato a non pensare perché è diventato troppo oneroso anche solo pensare. E così Diego si lascia andare alla debolezza e si lascia trasportare in un limbo dove la realtà non esiste già più, come se camminasse lungo una strada che si è allontanata di molto dalla vita, una strada che perde sempre più luce e che prosegue verso un punto lontano, completamente buio. la stanchezza è tale che gli impedisce perfino di girare lo sguardo.
È il momento di ricevere il regalo di Pierre. Le mani di Pierre che stringono le sue sono calde e grandi e infondono un senso di pace. Ne hanno parlato qualche sera fa. Pierre gli ha chiesto vuoi qualcosa di particolare per il tuo compleanno? Diego ha risposto di sì. E gli ha espresso il suo desiderio. Pierre ha pianto e ha urlato., sconvolto dalla richiesta di Diego. Gli ha gridato di non essere ridicolo, che non poteva chiedergli una cosa del genere. poi Diego, con le poche forze che gli sono rimaste, ha cercato di spiegare, di spaiarsi, e alla fine Pierre ha ceduto. ha detto sì, sarà il mio regalo. Perché ti amo. 
Adesso che il momento è arrivato, vorrebbe non essere lì ma lontano anni luce dalla casa del dolore, quel dolore che ormai da troppo tempo è calato sulla sua vita, come un masso che lo schiaccia al fondo e non lo lascia respirare. Ma è lì e non ha atra scelta, se non quella di mantenere la promessa fatta. Diego lo guarda con occhi pieni d’amore e gli sussurra adesso.
Il giorno dopo avergli detto di sì, Pierre è corso da Giovanni, perché il tormento di quella richiesta era già di per sé intollerabile.
Diego ha chiesto la morte come regalo di compleanno, perché così non è più vivere.
E Giovanni ha detto sì, fallo, perché se non lo fai tu lo farò io. È sufficiente aggiungere più morfina alla flebo.
Pierre stringe Diego tra le sue braccia.
Le lacrime precipitano dagli occhi di entrambi, la mano di Diego stritola quella di Pierre, quasi si potesse concentrare tutta la vita in quel gesto finale.
Pierre sta pensando che la vera crudeltà della morte è l’istante troppo breve che toglie la vita per sempre. Perché?
Goccia, goccia, goccia, goccia.
Grazie vita di avermi regalato questo amore.
Grazie per avermi regalato i giorni, i mesi, gli anni che abbiamo passato insieme.
Le labbra di Pierre sfiorano quelle di Diego, che sussurrano, grazie amore. E ancora quello stringere continuo che non potrà mai dimenticare. Regalargli la morte non è stata l’unica promessa fatta. Giurami che continuerai a vivere, giurami che amerai ancora e non ti sciuperai nel ricordo di quello che non ci sarà più, e lui aveva risposto di sì anche a questa seconda richiesta.
Goccia, goccia, goccia, goccia. Goccia che corre nelle vene, che scivola su, su fino a raggiungere il cuore.
Il corpo ha uno spasimo. i nervi si tendono. Gli occhi si aprono per l’ultima volta, senza vedere più niente. Il cuore rallenta il battito, il penultimo respiro, l’ultimo, la testa che scivola a destra. Avrò cura di tutto quello che mi hai dato. È mattino. La vita è spenta. C’è un sole che brucia.

domenica 24 settembre 2006

La farfalla

Mi sono trovato davanti ad un momento difficile quando tempo fa mi sono successe alcune cose (non è questa la sede per parlare di queste cose). Erano cose che hanno cambiato la mia vita per sempre, anzi, la mia via è rimasta la stessa, sono io che sono cambiato. Il mio nucleo è rimasto però lo stesso: quello di una persona che ama. Posso essere diventato più cinico, freddo, stronzo, muto o quello che volete voi, ma la mia natura è sempre quella.
Se penso a me da bambino mi rivedo uguale ad ora. Ero un bambino che passava le ore a fare e a osservare cose che gli altri bambini (senza parlare degli adulti) nemmeno notavano. Mi ricordo che una volta ho passato un intero pomeriggio a osservare quello che faceva una farfalla in un campo, credo di aver fatto chilometri, e quando sono arrivato a casa la sera ho detto a mia mamma quello che avevo fatto, lei mi ha risposto che ho sprecato il mio tempo in un gioco scemo. Mi ricordo che ci rimasi malissimo, perchè dopo quel pomeriggio ero felice, avevo riempito talmente tanto il mio cuore di un qualcosa di bello per me che sentirmi dire quelle cose mi ammutolì. Cenai, andai a letto e piansi silenziosamente tanto, ma tanto che mi sveglia col cuscino umido. Era talmente zuppo che avevo le guancie che bruciavano. Passai il resto della giornata a disegnare farfalle, guardando fuori e dicendomi che non avrei mai più fatto quelle cose "sceme", come le aveva chiamate mia mamma.
In realtà non ho mai smesso di fare cose sceme, ancora oggi in molti non capiscono molti miei gesti, comportamenti, sguardi, anzi direi che spesso vengo frainteso perchè c'è gente che tende sempre a interpretare (uno dei mali del mondo), quello che fa sì che gli altri strumentalizzino, usino quello che sembriamo per far credere agli altri - e spesso anche a noi stessi- quello che non siamo.
Io posso essere un sacco di cose, posso essere un enorme (anzi nel mio caso piccolo) brufolo sul culo del mondo, posso aver fatto miliardi di errori, ma ho imparato a farmi le mie analisi e ad abbassare la testa quando serve e ad usare -per quanto possibile- quella perla così limpida che credo cresca dentro me. Quando amo lo faccio davvero, magari in maniera sbagliata, ma onesta e sincera, non sono l'amante perfetto, quello che da tutto ciò di cui l'altro ha bisogno, perchè sono quello che sono, però AMO. E quando un giorno non ci sarò più vorrei che questo fosse chiaro a tutti: tutte le persone che amo lo sono per davvero, anche se non lo grido e non lo sventolo, anche se mi allontano per scappare dalla dolcezza, anche se sono sbagliato.

"...e il mio ricordo ti verrà a trovare quando starai troppo male
e quando invece starai bene resterò a guardare
perchè ciò che ho sempre chiesto al cielo
è che questa vita ti donasse gioia e amore vero..."

lunedì 21 agosto 2006

Amsterdam -III puntata-

hotel lunedì 21 agosto 2006 ore 00:30
Ho dormito dalle 16 alle 20:30, ero infreddolito. Quando mi sono svegliato non pioveva più, c’era un tramonto bellissimo. Altre emozioni, ho la lacrime facili in questi giorni. Poi sono uscito, sono andato a mangiare al Getto, un ristobar molto carino. Era pieno di gente,  tra cui alcuni travestiti, molto simpatici, pazze furiose. Anche lì un paio di sguardi, un saluto da parte di un tizio che mi ha fatto “CIAO CIAO” con la manina e poi un travestito di nome Bob che mi ha detto “WHAT BEAUTIFUL EYES”. Di lì capatina al Queen’s head  e poi a “casa” proprio quando aveva deciso di rimettersi a piovere. Ho ancora il mega hamburger sullo stomaco,  non va né su né giù.
Ora sono nel mio lettuccio, domani c’è il giro della zona sud est della città, però mi sveglio più tardi e speriamo non piova! Mi rendo conto che ho come l’impressione di essere a casa, sono molto a mio agio, non sento tutta quella sensazione di estraneità che si prova in posti nuovi. chissà forse in una vita precedente ero un marinaio olandese o una puttana. Non aggiungo altro.

ore 9:48
Sono al Stedelijk Museum che hanno spostato dalla più bella zona dei musei ad un palazzone nei pressi della stazione. Come sempre sono qui con largo anticipo.
Domani parto, la verità è che mi fermerei volentieri ancora, magari per sempre. Ho chiesto in reception se domani posso lasciare la mia valigia in hotel fino alle 15: mi ha risposto di sì, ma non ho capito il resto, la tipa parlava spanglish.
Mi sono svegliato pensando a quante cose ho dentro e che qui tendono a venire  a galla eppure c’è ancora qualcosa che le trattiene. Basterebbe così poco. Dire che sono parecchio confuso è dire poco. So che quando tornerò mi aspetterà l’inizio di un periodo parecchio duro e il non avere null’altro che me stesso mi fa paura. Mi fa sentire terribilmente solo, forse è anche per questo che ho così tanta voglia di restare qui. Questa “solitudine” forzata mi fa vivere questo sentimento in maniera più naturale e normale. In realtà penso molto all’Italia, però non c’è la nostalgia che fa venire voglia di tornare, semmai il contrario, vorrei che quelle persone fossero qui. Mi ci ritrovo talmente tanto in questo posto che metterei qui le radici per un po’, almeno per un po’. Solo un po’. Un po’.
ore 16:13
Sono al Bardjery, davanti ad una tazza di caffè. È inutile, qui il caffè non lo sanno fare.
Sono stato al Shippervartmuseum, il museo navale, bellissimo il galeone, per il resto tanti modellini di navi e nulla di più. Poi un giretto allo zoo, tra giraffe, culi di scimmie, procioni e bufali. Ho pranzo con un bagel che è una sorta di ciambella che esiste in vari gusti (io l’ho presa al sesamo) e che si può condire in vari modi, nella mia ci ho messo bacon, pomodoro, insalata e maionese, il tutto coin una enorme spremuta d’arancia fresca. 
Da lì sono andato in uno dei posti più belli che io abbia mai visto: il mercato dei fiori. Ho commprato bulbi di tulipani, irisi e altri fiori e cinque bellissimi girasoli. Non ho resistito, se che domani parto, ma davanti a quale mare giallo...così ora me ne vado in giro con un mazzo di girasoli. Un pazzo. Alla faccia di quelli che dicono che mi trattengo, ho seguito una mia pulsione. Ora vado a dare da bere ai miei girasoli.



Rembrandtplein Cafè Le Monde martedì 22 agosto 2006 ore 9:49
Ho affittato una bici per 3 ore , poi me ne tornerò in hotel fino alle 15 a cazzeggiare e di lì in aeroporto. Il proprietario de Le Monde è brasiliano, così me ne sto ad Amsterdam a bere un caffè e ascoltanto musica brasiliana. I miei girasoli li ho lasciati in hotel, tranne uno, il più bello, che ho messo in valigia. Non oso immaginare come arriverà, ma almeno ci provo.
Sono davvero triste, qui sto davvero bene, credo sia una “fuga” dai miei doveri, ma sto troppo bene qui. Se un domani decidessi di trasfermi qui o in qualsiasi altro posto non vorrei sentirmi dire da nessuno che scappo o ronuncio a delle persone. Lasciare un posto non significa abbandonare anche le persone che lì si trovano. I rapporti restano, continuo a crederlo, se sono veri, allora non importa dove, né come, ma importa che c’è. Sebbene col tempo sia diventato molto più disilluso dagli altri credo che qualche buon seme ogni tanto possa germogliare.
Ci mancava il proprietario brasiliano che mi fa domande su domande, la bandiera arcobaleno non l’ho vista, ma qui non si sa mai.
Stamattina in hotel c’era l’invasione di napoletani, si fermeranno solo per tre giorni, ma avevano delle valigie così grande che sembrano fatte per tre mesi di permanenza. Mi sono vergognato io per loro.
Ora il proprietario mi ha chiesto di dove sono perché deve andare a Reggio Calabria a settembre a vedere le finali dei mondiali di pallavolo e aveva bisogno di qualcuno che parlasse italiano per prenotare per lui e il suo boyfriend (te pareva). Cercava anche la piscina, ma tutti si mettevano a ridere...a Reggio Calabria...di fronte al mare...vorrei ben vedere. Adesso gli dico che la piscina è meglio non cercarla.

Hotel ore 13:11

Aspetto almeno le 14 per andare. Ho finito un po’ prima il mio giro perché si è messo a piovigginare. Ho mangiato del pesce fritto in un chiosco in Westermarkt. Alle 11. Una botta di vita. Così ho abbondato la bici e ho fatto qualche passo a piedi per il quartiere a luci rosse e infine sono andato in stazione per comprare il biglietto per l’aeroporto. Alla cassa ho incontrato una stronza. Non le ho detto “Good morning” e lei si è incazzata. Una isterica, probabilmente il suo figo ragazzo olandese non glielo ha dato, e ci credo se sei così acida! ‘Sta troia mi ha fatto due biglietti anziché uno, così ho rifatto la fila (da un’altra parte per non urtare la sua sensibilità) e mi sono fatto restituire il malloppo. Capisco che posso essere sembrato scortese, ma io dico, non ti rendi conto che sono straniero e magari non ho dimistichezza con la lingua e che se tu sei isterica e stronza non è colpa mia e che durante la tue scena ti guardavo senza capire??? Le vere troie non sono quelle in vetrina, ma sono quelle come te sparse un po’ ovunque per il mondo. Così mi sono avvicinato alla cassa e le ho detto “You are troia, fanculo...” e me ne sono andato.
L’amico brasiliano alla fine non mi ha fatto pagare il caffè perché gli ho fatto quelle due o tre telefonate in Italia. È stato davvero gentile, chissà magari un giorno tornerò a trovarlo. E quasi alla fine di tutto  questo cosa mi è rimasto? Mi viene da cantare “...so I shall go in the rage of the storm ‘cos only in the world I find heaven...”. Mi sono buttato in questa tempesta e un po’ di paradiso l’ho trovato. Vorrei aggiungere “e ora torno all’inferno”, ma spero di tornare con un po’ di questo paradiso nell’anima e camminare a testa alta contro la tempesta.

Stazione di Malpensa, sul treno ore 20:45
Quasi a casa dopo un viaggio tutto sommato tranquillo. In aereo mi è solo volato il poster di Van Gogh in faccia a uan tipa e quando le chiesto scusa e se si era fatta male, mi ha risposto stizzosa “bene non mi sono fatta!!!”. Altra troia repressa che dimostra quanto scritto sopra.
Sono proprio triste. Mi sembra di aver fatto un viaggio al contrario, di aver lasciato lì la mia vita, lo so che può sembrare ridicolo, ma è così. Sono partito da qui in realtà per tornare a casa mia, che strano.
Sto rileggendo “Il mondo senza di me” di Mancassola. Lo sto riscoprendo ancora più bello, ora mi appartiene ancora di più, forse perché una parte parla di Amsterdam. Una frase mi ha fatto pensare molto duranet il viaggio e dice “...tra la giustezza della ragione e l’istinto di un sentimento, c’è un contrasto così crudele. E tanto più qualcuno si dimostra lucido nella scelta del bene, tanto più atroce è il male che soffre.” Fine del viaggio.



sabato 19 agosto 2006

Amsterdam -II puntata-


Amsterdam in Hotel sabato 19 agosto 2006 ore 19:05
Mi sto guardando il “top of the pops” locale. E’ uguale al nostro, anche i cantanti: sono appena passate le Paola & Chiara olandesi, ora c’è il Cremonini della situazione, perfino il presentatore è uguale a Daniele Bossari (vedi foto-documento).
Oggi giro molto interessante. Mi sono svegliato prestissimo per andare all’Anna Frank Museum ed evitare la mega coda che c’è di solito e che ho anche visto durante il giro in battello di ieri. Devo dire che è stato una piacevole sorpresa, sin da subito vieni immerso nelle emozioni di Anna tra i suoi mobili, le sue parole sulle pareti, i video dell’epoca e poi le sue cose. Ne sono uscito abbastanza emozionato, una bella botta di vita di prima mattina.
Poi ho fatto un giro nel Joordan che è una delle zone più belle e tranquille della città, con tante casine piccole piccole, strette strette, basse basse. Ho trovato un piccolo mercato dove ho comprato 2 enormi biscotti fatti di non so cosa, ma ho visto che c’erano le mandorle e  non ho resistito. Buoni. 
Di lì giù per Oude Zidije, la zona vecchia, ho visto la Oudekerk. Poi sono andato nella Nieuwe Zidije, la zona nuova, e nella Nieuwekerk c’era una mostra di arte moderna e design...orrore...parrucche viola, oggetti trashissimi, video al plasma, in una chiesa tanto bella.
Il palazzo reale era chiuso, così mi sono fatto un giro nel Museo storico di Amsterdam, nulla di davvero interessante se non la sezione di storia della seconda metà del 900.
A questo punto le gambe reclamavano pietà così sono entrato in un bruin cafe (sono i caffè “scuri” i vecchi caffè, detti scuri per il colore del legno del loro arredamento), sono il corrispettivo dei pub irlandesi, non quelli che ci sono da noi, ma quelli originali. Alcuni sono vecchissimi e bellissimi. Quello in cui mi sono fatto un caffè era il Badjeri. A gestirlo un gay (era evidente) biondo, occhi azzurri, sulla cinquantina, una sorta di folletto di Babbo natale alto un metro e novanta. Guardando sulle pareti ho visto alcune foto tra le quali alcune Drag Queen. È inutile sono dappertutto. Eppure entri in questi posto e vedi quella che è davanti a me, una donna di sessant'anni bersi una birra al bancone, accanto ad omaccioni tutti muscoli o giovani ragazzini che stanno decidendo in quale coffeshop  farsi una rilassante canna. È bello così.
Dopo il museo della casa di Rembrandt (altro tuffo in una realtà antica) fuga in hotel per pennica globale e cena al risveglio a base di sushi acquistato in una sorta di takeaway nippolandese, dove vendono tutto preconfezionato, come le mele già tagliatea spicchi o il melone a pallini. Quando si dice non fatemi perdere tempo.
E ora? Finisco di vestirmi e faccio un salto in giro. Che succederà? Le Lollypop olandesi dicono “It’s the party tonight, baila amor!”.


Amsterdam in Hotel domenica 20 agosto 2006 ore 2:45
Sono stato tutto sera in giro per locali. Qui sono tutti dei pazzi, cantano come dei forsennati canzoni popolari e non, ballano canzoni dance e altre meno proponibili. Bevono birra a fiumi (Santo Heinnenken) ed è bellissimo vedere gente di ogni età frequentare gli stessi posti. Ora che ci penso è difficile trovare gente giovanissima, finora ho visto gente dai 30 anni in su. Mi sono anche preso un compimento uscendo dal Queen’s head (un bruin cafe), un ragazzo (tra l’altro carino) ha detto agli amici e guardandomi in faccia “What beautiful boy”, gli ho sorriso e sono andato via.  Ora le cose sono due: o si era appena fumato una canna o era davvero un complimento, allora posso tirarmela. 
A proposito di fumo, ora ho capito che odore ha. Uno mi ha fumato addosso e ho visto rosa, figuriamoci se fumassi io. Ah, l’odore della città non l’ho ancora identificato però è un odore pungente che quando arrivi ti penetra nelle narici,  ma non sono ancora arrivato ad identificarlo.
sul tram n°12 per la zona dei musei ore 8:39

Sono sul tram che porta alla zona dei musei. Vado presto perché a quanto dicono al van Gogh Museum c’è sempre una fila interminabile. Piove. Già ieri c’erano state delle avvisaglie. Dalla mia camera vedevo la pioggia cadere lontano. Stamattina pioveva allegramente, ora pioviggina, il cielo è rimasto carico di un grigio pesante, ma confido nelle prossime ore. Sto ripensando a ieri (cioè oggi) e a come ero a mio agio nel locali, anche se da solo, osservavo, ascoltavo, ho una tale voglia di assorbire qualsiasi cosa. Forse facendo così rischio solo di essere in qualche modo sopraffatto da troppe cose, ma non riesco a farne a meno.
Devo dire che sebbene pensi molto a casa, agli amici, non sento quella voglia di tornare, qui sto bene. Più che altro ho voglia di condividere tutto questo con loro. Ci sarebbe stato da divertirsi. Forse sto raggiungendo il giusto equilibrio tra quelle che sono le mie pulsioni verso l’esterno, le mie necessità, e quello che mi lega al presente, al certo. Starò crescendo?
Ponti cafè Willensparkweg ore 9:20
Mi prendo una “cup of coffee”, una delle cose che mi paice di più dire, col tempo autunnale che c’è è l’ideale. Aspetto che apra il museo, quando sono arrivato c’erano solo 4/5 persone. Spero di non ritrovarmi una folla, dovrei spiegare loro che mi sono svegliato alle 7:30 e sono arrivato alle 9, molto prima di loro.
Mi sento il cuore come una polpetta maciullata. È tanto tempo che mi rendo conto di non riuscire più ad amare. Manca la spinta, il battito del cuore. Ma il cuore è malato. Ho creduto che qualcuno potesse guarirlo, ma forse solo io posso farlo, finora nessuno ci è riuscito.

Cafe Reynders Leidsplein ore 14:13
Giornata piena d’acqua. Naturalmente l’ho presa tutta. Finchè sono rimasto nel Van Gogh museum tutto ok. Poi sono andato al Rijskmusem e lì c’è stato il finimondo. Acqua tanta Noè vide quel dì. Ho dovuto comprare un ombrello con su la Ronda di notte. Terrificante. No, non il dipinto, ma l’ombrello.
Bhe, comunque il Van Gogh Museum è bellissimo. Quando sono arrivato davanti ai suoi girasoli sono rimasto senza fiato. Sindrome di Stendhal?! Ho scoperto che anche per lui era  no i suoi fiori. Peccato che si sia ucciso, che storia triste. Resta un grande. E poi i suoi fiori di pesco, un tuffo al cuore. Mi sono portato via un surrogato: il poster de “I girasoli”.
Poi mi è toccato una coda chilometrica per entrare al Rijskmuseum. E io che deridevo gli idioti che erano arrivati tardi a quello di Van Gogh. Così ora sono umido, non mi sorprenderei di trovare colonie di muffe sparse per il mio corpo. Mi avevano detto che qui pioveva spesso, ma che la pioggia era spesso transitoria, ma qui è da stamattina che piove e non sembra volersi fermare. Meno male che ho il mio ombrello stupendissimo.
Ora me ne sto in cafe in Leidsplein, bella piazza, che non posso godermi, ma con la pancia  di un buonissimo sandwich con chicken. L’unica cosa che fa davvero schifo (e mi manca) è un buon caffè. Non si può essere perfetti in tutto.


mercoledì 16 agosto 2006

Amsterdam -I puntata-

mercoledì 16 agosto 2006 ore 17:18
Si dice che si parta ancora prima di farlo. Credo sia così, credo che la testa parta prima del corpo e forse il viaggio non è altro che un modo per ritrovarla. Da soli è meglio, per tanti ragioni, è più viaggio, così come lo intendo io. Più libero di seguire i miei ritmi. In questo momento non conta tanta la meta, se fosse stata Parigi anziché Amsterdam sarebbe cambiato poco, forse la lingua e i monumenti, ma lo spirito con cui l’avrei affrontato sarebbe stato lo stesso. In genere poi si parte, se non con aspettative, almeno con delle promesse, che poi vengono smentite o cancellate per lasciare spazio a quello che le circostanze permettono di fare.
È il mio primo viaggio, quello vero, quello che segna la fine del prima e l’inizio del poi. È il viaggio della verità, quello in cui non posso raccontare balle a me stesso, perché se non mi fido di me stesso con posso fidarmi degli altri?! Sarà il viaggio in cui sentirò poco la mia voce. Sarà il viaggio in cui aprire bene gli occhi per cogliere i colori che ancora non ho visto. Quello in cui le orecchie ascolteranno suoni indediti, sarà quello in cui imparare di nuovo l’odore dell’estate, il suono del mio cuore, non sentire più paura e aprire la mente.
Magari non cambierà nulla, eppure qualcosa è successo perchè il viaggio è già iniziato. E siamo solo all’inizio.


Aeroporto di Linate venerdì 18 agosto 2006 ore 10:12
Aspetto che arrivi l’ora dell’imbarco. Mezzora di ritardo, se non di più. Mi sarei meravigliato se non fosse successo nulla. Così ho avuto più tempo per colazione, cesso e giri in aeroporto. Devo dire che in aeroporto si potrebbe benissimo vivere. C’è tutto. Ti sei dimenticato il deodorante? C’è. Ti sono arrivate le tue cose? Qui ci sono gli assorbenti con le ali, senza ali, con paracadute o deltaplano. E vogliamo parlare della quantità di giornali e riviste che si possono trovare? Mi ero sempre chiesto chi comprasse Health Man, Music Grounge e Beauty, ora ho capito.

In volo chissà dove ore 12:15 forse
Partito da pochi minuti: Posto lato corridoio, vicino a me una coppia attempata, classici “Milano da bere”, insopportabili. Appena possibile mi sono spostato avanti. lo stewart (gayssimo), mi ha chiesto di spostarmi perchè ero in businnes class. Così ho chiesto alla hostess di spostarmi dietro, vicino al finestrino, visto che l’aereo era semivuoto. Mi ha detto che in businnes class stavano per servire il pranzo. Insomma, si mettesserò d’accordo. Alla fine mi sono messo vicino al finestrino poco più dietro. Stiamo volando sulle Alpi, fantastico, ora posso dire di essere per la prima in vita fuori dall’Italia (se non conto San Marino e il Vaticano). Con l’inglese me la sto cavando, ho capito che potevo scegliere tra un tramezzino al pollo o uno al formaggio. , ma non ho capito quasi nulla di quello che ha detto il comandante. Siamo messi bene. Sotto di me qualche nuvola e boschi e campi e "prati verdi dove finiscono le mie malinconie".

Amsterdam Westermarkt ore 17:28
L’arrivo in albergo è stato velocissimo, è vero che Amsterdam è una città piccolissima. La camera è pulita, tutti sono gentilissimi. Ho fatto il turista in battello, in aeroporto ho comprato l’Amsterdam card che da diritto all’ingresso gratuito alla maggior parte dei musei, all’utilizzo gratuito dei mezzi per 3 giorni e ad un mucchio di altre cose, tra cui un giro in battello.
Finito il tour mi sono fatto una lunga passeggiata sui canali fino a Westermarkt, una piacevole piazzetta nella zona ovest della città. Sono seduto sulle rive di un canale, in sostanza sull’Homomonument. Ci sono delle rose sulla punta dell’ultimo triangolo in granito rosa. È un monumento costruito per ricordare tutti gli omosessuali uccisi nei campi di concentramento nazisti. fa parecchio impressione stare seduto su un monumento dedicato sfacciatamente ai gay. In Italia una cosa del genere non potrebbe mai esserci.
È bellissimo starseni seduto su questo monumento che per gli altri può non significare nulla, ma per altri significa tanto. È così strano vedere due ragazze poco distanti che si abbracciano e chiacchierano, sono una coppia, per nessuno è qualcosa di strano. Questo è il posto in cui potrei vivere per sempre. Si è alzato il vento, un po’ freddo, ma è una giornata bellissima, sto bene. sono felice.

Amsterdam in Hotel ore 23:33
Ho mal di gambe, ho camminato molto. Ho visto i canali, la vita, la gente. Molti turisti, troppi forse. Gli italiani li riconosceresti ovunque. 
Ho fatto una figura di merda. Sono entrato in un posto che da fuori sembrava normale (anche dentro), tipo un caffè. Ad un certo punto, mentre addento le patatine sul bancone, ho buttato l’occhio sul televisore nell’angolo in alto del locale e ho visto 4 ragazzoni che facevano il trenino dell’amore seguito da acrobasie erotiche. Insomma ero in un locale spudoratamente gay. Qui è tutto mescolato, a volte i locali hanno appeso fuori la bandiera arcobaleno, ma spesso sono mimetizzati, anzi no, direi che sono come gli altri locali. Così ad un certo punto per disimmulare l’imbarazzo e non fare quello che scappa mi sono messo a guardare due tipi che giocavano a biliardo. Mi si è avvicinato un tizio e mi ha chiesto se volevo giocare a bliardo. Gli ho riso sguaiatamente in faccia. È sparito. 
Poi ho scoperto che Reguilarstraat è una delle vie gay, piena di locali gay, alcuni molto carini. E la cosa più bella è che dentro non ci sono solo gay, ma anche vecchi e giovani, etero e no, donne e uomini. Da lì mi sono fatto una lunga camminata lungo l’Amstel, che è il fiume che attraversa la città (in realtà si confonde con gli altri canali). Ogni tanto annusavo l’aria per capire che odore ha Amsterdam. Il colore è il lilla, ma l’odore non l’ho ancora individuato. Rimando il verdetto ai prossimi giorni.
Un’altra via davvero carina è Zeedijk. è piena, piena, piena di locali, molto diversi tra loro. Per esempio c’era un gruppo che suoanva rock in vetrina in locale fatto per i sette nani (nel senso che che ci stavano solo loro), eppure dentro riusciva a straci un mucchio di gente. Davanti ad un altro una specie di matrona in costume non ben definito cantava varie canzoni accompagnata da viola e fisarmonica e un altoparlante  attaccato ad un carrello di quelli che si usano per portare via le lavatrici rotte da casa. Insomma una babele.
Inutile, proprio una bellissima città,. C’è stato un momento durante il tramonto in cui c’era una luce bellissima, il cielo aveva un colore rosato. Credo che nessuna foto avrebbe mai potuto cogliere quei colori. Nessuna foto ha colto i miei occhi in quel momento. Secondo me brillavano, dopo tanto tempo ho sorriso ancora davanti ad una cosa bella.