Come ho già scritto altre volte non amo spiegare il perchè delle cose che pubblico sul blog anche perchè spesso un vero motivo non c'è, a volte è solo un pretesto per dire qualcosa che altrimenti non sarei mai riuscito a dire in altro modo, per questo utilizzo canzoni, poesie o racconti di altri piuttosto che cose partorite da me. Questa volta però devo spiegare.
Il racconto che segue è bellissimo, è triste, dolce, amaro, pesante, ognuno ne darà un giudizio personale. Subito si potrebbe dire che parla di morte, una delle cose di cui la maggior parte degli uomini ha paura, ma non l'ho pubblicato per questo, non è questo il tema che mi ha spinto a pubblicarlo, ma per l'amore di cui è intriso.
Tutto è nato da una chiacchierata con una persona sull'amore. Si è finiti col chiedersi se esiste l'amore vero, quello che dura per sempre. Il riassunto del mio pensiero è che l'amore vero esista, a volte però per tanti motivi legati alle persone coinvolte, alle circostanze esterne o a un mucchio di altri fattori non è possibile viverlo, goderselo. Si è finiti poi sul personale e mi è stata fatta una domanda precisa: "Ma se pensi a XXXXXX ci passeresti tutta la vita?" (nda: ometto il nome della persona per la legge sulla privacy). Mi sono passate davanti tutta una serie di immagini, una sorta di film a velocità rapidissima e ho risposto di sì. La risposta è stata :"E allora cosa aspetti?!".
Dopo altri avvenimenti ho pensato a questo racconto che dice di un amore vero, intenso, non legato alla compassione e alla pena della situazione, un rapporto in cui l'amore vince, anche se fa male, perchè alla fine si deve amare fino alla fine, indipendetemente da tutto. Non l'ho scelto per la drammaticità, ma per esemplificare quello che provo. Ci sono arrivato ora, forse tardi, forse no, però non posso negarlo, nasconderlo a nessuno, perchè deve essere detto. Forse sono in ritardo e dall'altra parte non è così, non posso dare per scontato che ci siano gli stessi sentimenti.
Vorrei viverlo perchè il sole continua a bruciare. Non posso negare questa possibilità a me e all'altra persona.
L’ultima estate (di Stefano Simonini)
Dopo la calura durata tutto il giorno, la sera si era rapidamente rinfrescata. era ancora chiaro ma in cielo già si intravedeva la luna piena. Era settembre, presto le giornate si sarebbero accorciate e il caldo diminuito. Un altro inverno. La casa era apparecchiata per l’arrivo degli ospiti. Sarebbero stati almeno dieci: un buffet in piedi visto che non c’erano abbastanza sedie per tutti.
Era il compleanno di Diego, il suo trentacinquesimo. Aveva voluto lui la festa, e Pierre era stato subito pronto ad accontentarlo. Non sapeva più cosa fare per lui nell’illusione di poterlo vedere felice ancora una volta. Diego è steso sul divano, gli occhi chiusi come se stesse dormendo. In realtà anche solo aprire gli occhi gli costa ormai una fatica immensa. È ammalato di AIDS da un anno, dopo sette di sieropositività passati senza alcun problema, come se niente fosse mai accaduto. Poi, un giorno all’improvviso, senza segni premonitori, una diarrea devastante lo aveva colpito mentre erano in spiaggia e lui per una settimana intera aveva dato la colpa al cibo e, solo dopo essersi quasi completamente disidratato, aveva lasciato che Pierre lo accompagnasse in ospedale dove avevano scoperto che la diarrea non dipendeva dal cibo ma non era che il primo sintomo, la prima e tanto temuta battaglia con la malattia.
Da quel momento, giorno dopo giorno, le sue condizioni erano peggiorate. Tutte le cure che gli erano state fatte non avevano mai conseguito alcun miglioramento e la fine non aveva fatto altro che avvicinarsi. Diego oggi è irriconoscibile. La lacerazione per Pierre è così grande che ogni volta che incontra i suoi occhi ne distoglie lo sguardo come se stesse morendo anche lui. Accende le candele profumate che ha preparato sul terrazzo dove appaiono la Madonnnina illuminata in alto a destra e sulla sinistra la Torre Velasca: due modi diversi per chiedere favori al cielo.
Si sono incontrati otto anni fa a Lisbona dove Diego passava le vacanze da un ex amante mentre Pierre c’era andato insieme a degli amici. Si erano visti una sera in discoteca e si erano subito piaciuti. Pierre era rimasto colpito da quella faccia non bella ma decisamente e sensualmente maschile, da quel naso grosso, da quelle labbra carnose, e poi le mani grandi e forti che infondevano sicurezza. Diego, al contrario, era rimasto abbagliato dalla regolarità della bellezza di Pierre, una bellezza che negli uomini francesi nasconde sempre un frammento di femminilità. Erano andati via insieme, e insieme avevano finito la vacanza, dieci giorni memorabili che avrebbero cambiato le loro esistenze.
Si sono sentiti sempre più spesso al telefono e dopo soli quattro mesi durante i quali aveva duramente studiato italiano, Pierre si era trasferito a Milano e lui e Diego avevano preso a vivere insieme. E sono ancora lì, insieme, anche questa sera che sta diventando rapidamente fresca. Pierre ha preparato quattro insalate diverse e due quiche e un enorme roast-beef e una zuppa fredda e poi un piatto di salumi e formaggi e del vino bianco e rosso e la frutta e lo champagne e la torta di crema e fragole di bosco.
Pierre ricordava quella vacanza in Messico come un vero incubo. Fin dall’inizio aveva capito che le cose si stavano mettendo male ma la paura che i propri timori fossero confermati aveva fatto sì che stupidamente accettasse le puerili motivazioni di Diego. Avevano passato tutta la settimana ostaggi in una camera d’albergo, l’aria condizionata spenta perché Diego aveva sempre freddo, l’odore insopportabile di merda, le corse in farmacia e comprare litri di sali per contrastare il rischio di disidratazione. La notte non riusciva a prendere sonno e se ne stava seduto per ore a guardare il soffitto e a scacciare i pensieri, controllando il riposo agitato di Diego che passava dal silenzio totale a urla mostruose, figlie dei suoi incubi. Ogni paio d’ore Diego si svegliava tremante e inondato di sudore e Pierre lo aiutava a cambiarsi e lo guardava riaddormentarsi subito, così, fino al mattino che avrebbe aperto un nuovo giorno di apprensione e di paura. Diego adesso dorme steso sul divano, il sorriso disegnato sulle labbra, il sorriso sereno di un ragazzo felice ed è soltanto in quel sorriso che Pierre riconosce il passato.
Le prime ad apparire sono Lisa e Anna che è arrivata quello stesso pomeriggio dalla Grecia per partecipare alla cena di compleanno di Diego. Sono sei mesi che non si vedono e Lisa, che invece vive a Milano, nota immediatamente sul volto dell’amica una profonda onda di sgomento. Chi non lo vede da qualche tempo non riesce a rinascere Diego. Le note di Say my name delle Destiny’s Child riempiono la stanza. È stato Pierre a scegliere questa canzone per Diego perché sa di fargli piacere. E poi arrivano tutti gli altri: arriva Paolo, arrivano Giorgio e Giovanni, arriva Claudia e Flavio e salvatore, poi arriva Pietro e per ultimo Ivan. Da quando le cose sono andate peggiorando, Ivan è quello che sembra averne sofferto di più perché la stessa cosa prima o poi potrebbe succedere anche a lui. Perché Diego sta morendo e non c’è rimedio. Perché per Diego la parola futuro ha perso di senso. Perché per lui vale il passato, valgono i ricordi da stringere forte con la mente per non lasciarli scappare. I ricordi e nient’altro. Nessun progetto.
Tutti si conoscono da tempo perché in qualche modo sono cresciuti insieme, si sono incontrati e scontrati più volte ma non sono tutti amici. Spesso, in passato, alcuni di loro hanno deliberatamente evitato di incontrarsi per manifeste antipatie ma questa notte ci vede per Diego, per lui si fa questo ed altro. Diego sorride vedendoli mangiare e parlare tra di loro. Sono loro la sua vita, la famiglia che faticosamente si è costruito nel corso degli anni.
La risata di Anna, ancora così bella nonostante il passare degli anni, sovrasta le altre voci. La serata procede nel migliore dei modi. Pierre guarda Diego e ricambia il sorriso. Dalla strada non giunge alcun rumore, come se la città fosse deserta. Giorgio, ubriaco, è brillante come sempre: l’alcol gli scaccia lontano le tristezze e lo rende euforico. È seduto vicino a Diego, gli parla nell’orecchio e Diego, tenendogli una mano tra le sue, ride fino alle lacrime. Il suo braccio destro è legato ad una flebo. Da qualche mese non riesce più a mandar giù nulla. Da quando è arrivato, Giorgio non ha smesso di bere, è su di giri, si è già seduto e rialzato dal divano dove Diego è steso una decina di volte, lo ha fatto ridere, nel vecchio e irresistibile numero in cui, davanti a chiunque e in qualunque luogo si trovino, lo chiama –urlando– al femminile; poi, dopo aver attirato l’attenzione di tutti, si scusa e torna al maschile. Un numero perfezionato nel tempo. Ridono tutti. Senza voglia. Ma senza poterne fare a meno.
“Da quand’è che non facciamo più l’amore?” sta pensando Pierre mentre guarda il cielo colmo di stelle e rischiarato dalla luce lunare. Ha messo su un maglione perché comincia a far fresco sul serio. Questi ultimi mesi non sono stati certo facili per lui. Ha dovuto lavorare per due, occuparsi della casa, occuparsi di Diego facendo il possibile per riuscire a rispondere a ogni suo bisogno. Non ci fossero stati Giovanni e Pietro, sempre lì, sempre disponibili a dare una mano, a sostituirsi a lui permettendogli qualche volta di uscire e di smettere di pensare e di tirare il fiato, probabilmente non ce l’avrebbe fatta.
C’era stato anche il confronto con la madre di Diego che quattro mesi prima era arrivata da loro con l’idea di riportarsi Diego a casa. Pierre non ci aveva più visto dalla disperazione e dall’ira. ma come cazzo si permette anche solo di pensarci? Era rimasto allibito, senza parole e, dopo un attimo di silenzio, l’aveva pregata di andarsene. Che cazzo avrebbe detto se la madre di suo marito le avesse chiesto la stessa cosa quando lui stava morendo?
Anche Claudia ha bevuto troppo, cammina storta e si tiene in disparte, si sente troppo triste per conversare, temendo di mettersi a piangere. Diego ha cercato più volte i suoi occhi, ma lei ha sempre distolto lo sguardo. Ricorda un po’ il personaggio della puttana mesta del primo spettacolo in cui avevano recitato quando s’erano conosciuti.
Tutti mangiano e discorrono, è così incoraggiante vederli insieme. “Grazie” pensa Diego “grazie per essere tutti qui con me questa sera”. È sfinito ma si sforza di non darlo a vedere. Li vuole lì, con sé, il più a lungo possibile. La sua famiglia. Sono venute a trovarlo, nel pomeriggio, sua madre e sua sorella ma con loro tutte le volte è uno strazio. Non sanno fingere, non sanno arginare le lacrime e lui sta troppo male, per se stesso e per loro.
Paolo, l’asociale, si è seduto accanto a lui, e gli parla con il solito piacere che accende i suoi occhi quando racconta e si racconta. Aveva quasi deciso di non venire. Tra gli amici di Diego è quello meno inserito nel gruppo, sempre ostinato a volersene stare per i fatti propri. Ci sono volte che scompare per mesi semplicemente perché non vuole né vedere né parlare con nessuno. All’inizio della loro amicizia Diego aveva detestato questo suo modo di essere. Poi con il passare degli anni aveva imparato a capire e ad accettare.
Pierre sembra stia sorvegliando che tutto proceda per il meglio. È solo una posa. I ricordi si rincorrono nella testa come cani in fuga dal mondo. Fanno male, ogni giorno di più. Si sveglia al mattino ed è già stanco della notte trascorsa, e la sera è stanco del giorno appena passato. Si addormenta tutte le volte che si appoggia a qualcosa che lo possa sorreggere. Claudia gli si avvicina, gli si siede accanto. Si guardano muti e lei gli accarezza una mano, Non vede l’ora che la festa finisca, è estenuata e vuole tornare a casa e dormire, e sognare quando tutto sembrava normale. Il miracolo della morte incombente ha la capacità di rendere straordinari anche gli eventi più banali.
Anna e Lisa stanno chiacchierando con Pietro. Lisa è psicologa e almeno teoricamente dovrebbe essere quella che più facilmente ha imparato a fare i conti con la realtà. Anni fa lei e Diego hanno vissuto insieme in una casa minuscola alla Bovina. La mattina si alzavano insieme e si divertivano come due perfetti idioti a scoreggiare e a inventare una rima per ogni nuova scoreggia, la scoreggina rende profumata la mattina, e giù a ridere, ridere fino a stare male, come se non ci fosse stato niente di più divertente da fare nella vita che scoreggiare e ridere, le lacrime agli occhi e i crampi allo stomaco, di corsa sotto la doccia per non fare tardi in ufficio e alle prove. Mangiamo insieme stasera? Sì e poi andiamo al cinema, ti chiamo dopo, ciaooooo.
È arrivato il momento della torta ed è già notte. Il cielo è chiaro, l’aria quasi ghiaccia. La musica si interrompe, si spengono le luci, le voci si uniscono in un lungo coro stonato, e Pietro emerge dalla cucina con la torta e trentacinque candeline rigide e fiammeggianti, trentacinque candeline che Diego non avrà mai la forza di spegnere. Allora le spegne Giorgio, eccitato dall’alcol e dal bisogno di soffocare il proprio strazio, quello stesso strazio che ha sempre cercato di spingere in fondo, in luoghi da non visitare. Finisce così, con tutti che se ne vanno dopo aver brindato ma a cosa non lo sanno nemmeno loro. Pierre saluta sulla porta, un accenno di desolazione negli occhi e una smorfia impallidita sulle labbra che tremano. Ci sentiamo nei prossimi giorni. Grazie. Buona notte. Ti chiamo domani per sapere se ti serve una mano. OK. Grazie. Ciao.
È rimasto solo Giovanni, seduto accanto a Diego. Sei stanco? Un po’. Adesso andiamo tutti a dormire. Sì, Grazie per questa bellissima serata. Grazie a te, e poi è tutto merito di Pierre, ha fatto tutto lui. Vado, non voglio piangere, non deve vedermi piangere. Gli occhi di Diego invece sono già annegati nelle lacrime. Ti voglio bene, è giusto un bisbiglio. Giovanni figge via, passo domani, abbraccia Pierre e parte.
Sono rimasti soli. Pierre si guarda intorno. hanno cercato tutti di creare meno disordine possibile, non ci sono né piatti né bicchieri sporchi, tutto nella lavastoviglie che solo ora Pierre si accorge che qualcuno ha messo in funzione.
Dal divano Diego lo chiama. Vieni qui vicino a me, e Pierre gli siede accanto, gli solleva la testa e l’appoggia al proprio petto. Diego gli stringe una mano e gli sorride. Grazie per tutto quello che hai fatto. Pierre gli sorride a sua volta e gli sussurra stupido. Poi ridono insieme. Diego gli accarezza teneramente il viso, un tocco quasi invisibile, per mancanza di forze e non di volontà. È molto fiacco e grazie alla stanchezza che ormai gli occupa tutte le ore di tutti i giorni ha imparato a non pensare perché è diventato troppo oneroso anche solo pensare. E così Diego si lascia andare alla debolezza e si lascia trasportare in un limbo dove la realtà non esiste già più, come se camminasse lungo una strada che si è allontanata di molto dalla vita, una strada che perde sempre più luce e che prosegue verso un punto lontano, completamente buio. la stanchezza è tale che gli impedisce perfino di girare lo sguardo.
È il momento di ricevere il regalo di Pierre. Le mani di Pierre che stringono le sue sono calde e grandi e infondono un senso di pace. Ne hanno parlato qualche sera fa. Pierre gli ha chiesto vuoi qualcosa di particolare per il tuo compleanno? Diego ha risposto di sì. E gli ha espresso il suo desiderio. Pierre ha pianto e ha urlato., sconvolto dalla richiesta di Diego. Gli ha gridato di non essere ridicolo, che non poteva chiedergli una cosa del genere. poi Diego, con le poche forze che gli sono rimaste, ha cercato di spiegare, di spaiarsi, e alla fine Pierre ha ceduto. ha detto sì, sarà il mio regalo. Perché ti amo.
Adesso che il momento è arrivato, vorrebbe non essere lì ma lontano anni luce dalla casa del dolore, quel dolore che ormai da troppo tempo è calato sulla sua vita, come un masso che lo schiaccia al fondo e non lo lascia respirare. Ma è lì e non ha atra scelta, se non quella di mantenere la promessa fatta. Diego lo guarda con occhi pieni d’amore e gli sussurra adesso.
Il giorno dopo avergli detto di sì, Pierre è corso da Giovanni, perché il tormento di quella richiesta era già di per sé intollerabile.
Diego ha chiesto la morte come regalo di compleanno, perché così non è più vivere.
E Giovanni ha detto sì, fallo, perché se non lo fai tu lo farò io. È sufficiente aggiungere più morfina alla flebo.
Pierre stringe Diego tra le sue braccia.
Le lacrime precipitano dagli occhi di entrambi, la mano di Diego stritola quella di Pierre, quasi si potesse concentrare tutta la vita in quel gesto finale.
Pierre sta pensando che la vera crudeltà della morte è l’istante troppo breve che toglie la vita per sempre. Perché?
Goccia, goccia, goccia, goccia.
Grazie vita di avermi regalato questo amore.
Grazie per avermi regalato i giorni, i mesi, gli anni che abbiamo passato insieme.
Le labbra di Pierre sfiorano quelle di Diego, che sussurrano, grazie amore. E ancora quello stringere continuo che non potrà mai dimenticare. Regalargli la morte non è stata l’unica promessa fatta. Giurami che continuerai a vivere, giurami che amerai ancora e non ti sciuperai nel ricordo di quello che non ci sarà più, e lui aveva risposto di sì anche a questa seconda richiesta.
Goccia, goccia, goccia, goccia. Goccia che corre nelle vene, che scivola su, su fino a raggiungere il cuore.
Il corpo ha uno spasimo. i nervi si tendono. Gli occhi si aprono per l’ultima volta, senza vedere più niente. Il cuore rallenta il battito, il penultimo respiro, l’ultimo, la testa che scivola a destra. Avrò cura di tutto quello che mi hai dato. È mattino. La vita è spenta. C’è un sole che brucia.