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sabato 22 gennaio 2011

La mia eredità

Nelle situazioni in cui si perde qualcuno ci si rende che è la famiglia la cosa che conta di più, mi ricollego a un post di qualche tempo fa, in cui parlavo delle radici. Sarà forse che con i trentanni si guarda al passato o che solo ora si raggiunge la maturità per capire quanto gli insegnamenti dei genitori siano stati importanti e determinanti. 
Oggi che i miei nonni non ci sono più penso a loro come delle perle, preziose e determinanti nella mia vita. Ognuno mi ha insegnato qualcosa che mi ha reso la persona che sono. Darei qualsiasi cosa per riaverli qui, ma è la vita e così non mi resta che il ricordo o forse qualcosa di più, perchè se ci penso bene mi rimane qualcosa che sì non si può toccare, ma che di certo posso sentire nella mia vita, in me stesso nelle cose che faccio tutti i giorni.
I miei nonni materni, Giacomina e Nicola, li vedevo una volta all’anno, erano i nonni delle vacanze, li riempivamo la casa per un mese intero, a volte anche di più. Nonna Giacomina aveva un caratttere difficile, passava dall’affettuosità alle urla verso noi bambini, non aveva molta pazienza. L’entrata della casa dava direttamente sulla strada, così il pomeriggio prendevamo le sedie e ci mettevamo fuori, mi preparava pane e pomodoro per merenda e lei intanto puliva la verdura per la cena o “impilava” i peperoni. Durante quei pomeriggi mi raccontava della sua giovinezza, aveva visto le guerre, quelle vere. Mi raccontava di quando suonavano le sirene e correvano a nascondersi nelle grotte della gravina e le bombe che cadevano e distruggevano. Aveva gli occhi azzurri, pur essendo una donna del sud, erano dell’azzurro del cielo, me li ricordo ancora oggi, erano piccoli e densi, occhi che avevano visto lontano. Mi raccontava del lavoro nei campi, di quanto lavorara e di quanto poco guadagnava, veniva sfruttata. La sua pelle rugosa parlava della terra che aveva lavorato e del sole che l’aveva bruciata. Nonna Giacomina mi ha insegnato l’umiltà, la ricordo così, umile ma forte. Ha tenuto insieme una famiglia intera con le sue forze, anche quando l’uomo che aveva sposato la picchiava e la tradiva. Si perchè Nonno Nicola nella sua giovinezza era così, prima di coventirsi al Protestantesimo era un uomo violento, la tradiva, e mia nonna sopportava. Poi si è convertito ed è diventato un altro uomo. Mia mamma lo descrive come un uomo severo, molto rigido, troppo, per esempio non voleva che si truccasse o che tagliasse i capelli. Con noi nipoti era dolce, buono, affettuoso, nonostante poi con l’età non riuscisse più a camminare e fosse molto rallentato nei movimenti. La domenica pomeriggio andava alla “messa” e mi portava spesso con lui, a me piaceva tanto perchè era un culto gioioso, non come quelle cattoliche, ognuno pregava liberamente senza recitare a memoria e si cantava tantissimo. Lui era felice di avermi con lui, mi ricordo che mentre andavamo al culto mi guardava sorridendo e io gli dicevo “nonno perchè ridi?”, mi rispondeva “sono contento che sei qui”.  Aveva occhi grandi e scuri, occhi dolci, che guardavano oltre quello che vedevano, avevo sempre la sensazione che mi leggesse dentro. Nonno Nicola era un uomo che aveva sempre una parola buona per tutti, anche per chi non se lo meritava, vedeva il buono ovunque. Nonno Nicola mi ha insegnato a guardare oltre le apparenze, a non lasciarmi travolgere dall’odio. Ha sofferto molto, fino all’ultimo, lo ricordo come un uomo stoico, una persona che tutti ricordiamo non solo con affetto, ma anche con profondo rispetto.
Poi ci sono i nonni paterni, Maria e Giorgio, i nonni con i quali sono cresciuto. Nonno Giorgio era burbero, irascibile, a volte mi faceva paura per i suoi scatti d’ira, crescendo ho capito che era tutto fumo e niente arrosto. Non era cattivo, di certo molto cocciuto, credo di aver preso da lui, se non si faceva come diceva lui urlava, si incazzava all’inverosimile...ehm, ecco magari non ho preso proprio da lui. Anche il suo aspetto sempre un po’ imbronciato, anche quando rideva, non lo rendeva rassicurante, invecchiando assomigliava a Gargamella. Nonno Giorgio mi ha insegnato a lottare fino alla fine. Se n’è andato nel suo letto perchè è così che voleva morire, si incazzava perchè in ospedale non ci voleva rimanere. 
E poi c’è nonna Maria, il mio amore. Non lo dico perchè era mia nonna, ma era una persona da amare. Mi ripeteva sempre che dovevo amare, che dovevo voler bene. Per lei era importante vederci amati e ci riversava valanghe di amore. Faceva tutti in funzione sei suoi figli e nipoti. Mi ricordo che veniva a casa e di nascosto ci dava dei soldi (pochi spiccioli) che lei rubava da mio nonno nei giorni in cui non ci vedevamo e per portali da noi li metteva nelle mutande da dove li tirava fuori in bagno o in camera quando veniva a trovarci. Lei era così, mi chiedeva sempre “sei contento?”, era il suo modo per chiedermi se ero felice, per lei contava solo quello, non che lei avesse il cuore mezzo sfatto o il diabete scompensato. Spesso stavamo mano nella mano, mi piaceva sentire le sue manine (era una donnia di 140 cm), erano sempre calde. Mi ricordo anche la sua risata, erano di quelle a piene polmoni, contagiose, ridevi con lei anche se non capivi il motivo. Era importante per lei che stessimo sempre uniti, lo ripeteva spesso. Sento ancora tanto la sua mancanza, anche se sono passati 10 anni dalla sua scomparsa. Nonna Maria mi ha insegnato l’amore per me e per gli altri. Mi ha insegnato ad amare sempre e comunque. Il mio cuore di bambino è cresciuto ricolmo di amore anche e sopratutto grazie a lei. È stata determinant, un punto di riferimento e se sono come sono lo devo sopratutto a lei.
Ecco questa è la mia eredità. Non sempre riesco a mettere in pratica i loro insegnamenti, ma credo che se ci riescoiscissi anche solo per un decimo di quello che hanno fatto loro, allora posso ritenermi soddisfatto. Alla fine so che quello che conta è questo, sono loro e parlo al presente perchè non sono mai andati via per me.

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